F. Munzi - Anime nere

Francesco Munzi - Anime nere 

Mai nessun altro film ha reso l'anima della Calabria come questo. Per la collocazione in un territorio circoscritto che sembra vivere di regole proprie e autonome, il comune di Africo che con Platì e San Luca compongono il cuore della Locride, la culla della 'ndtangheta.

Protagonisti tre fratelli, eredi di una famiglia criminale che è passata senza apparenti scossoni dalle cura delle capre al traffico di cocaina. Fanno affari a Milano e in Sudamerica e sembrano avere ormai ben poco in comune con i loro nonni e zii raccontati da Corrado Alvaro in Gente in Aspromonte.

I tre fratelli si riuniscono nel paese d'origine, tra le montagne selvagge dell'Aspromonte. Uno di loro è sempre rimasto lì, due sono migrati al nord, dove hanno trovato successo e denaro, chi in maniera legittima, chi no. Tornando dovranno confrontarsi anche loro con la storia della loro famiglia e con un passato quasi tribale che riemerge con violenza.

La tragedia che si abbatte su questa famiglia è raccontata quasi con l'occhio di un documentarista, perché a parlare sono i luoghi, le case, le montagne, la spiaggia su cui si muove il gregge, e un dialetto che è un lingua a sé, incomprensibile e infatti sottotitolata. Eppure nemmeno questa è la lingua vera del film: il linguaggio vero è fatto di sguardi, di gesti, di silenzi, è un linguaggio arcaico che si avverte dietro le parole e i gesti, un metalinguaggio dove tutto vuol significare qualcos'altro, sempre e comunque.

Premiatissimo. Giustamente.

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